Maurizio Argoneto è Presidente del PLUG, il Pignola Linux Users Group, un’associazione senza fine di lucro che si occupa della promozione e diffusione di conoscenze tecniche nel territorio lucano.
Da qualche anno, Maurizio si fa promotore dell’organizzazione del ComeToCode, una tech conference che in pochissimo tempo è diventata un’occasione importante di incontro tra il pubblico di sviluppatori del Sud Italia e numerosi top developer nazionali. E da quest’anno Maurizio partecipa attivamente anche all’organizzazione del Codemotion, dove ha parlato proprio di community tech.
Maurizio ci ha raccontato la sua esperienza di professionista e organizzatore di community e di eventi tech e ci ha spiegato perché le relazioni dirette tra persone sono insostituibili nella formazione di uno sviluppatore. Abbiamo anche parlato del coinvolgimento delle aziende nelle community e del ruolo che queste ultime svolgono nella realizzazione personale e professionale di uno sviluppatore.
Qual è il tuo background e qual è stato il tuo percorso formativo e professionale fino ad oggi?
Professionalmente, nasco come sviluppatore. Mi sono laureato all’Università della Basilicata e sono sempre rimasto nel territorio lucano. Dopo la laurea, ho lavorato presso diverse aziende come sviluppatore Java, fino ad arrivare all’azienda dove lavoro tuttora, la Publisys Spa, in cui ho rivestito diversi ruoli, Team Leader, Senior Software Developer, Project Manager e ora CTO aziendale. È stato un percorso di crescita verticale in una struttura mediamente complessa, con un centinaio di dipendenti, che nel corso del tempo ha investito molto sulla mia professionalità.
Nel frattempo ho continuato a portare avanti la mia formazione, ottenendo diverse certificazioni. Ho mantenuto nel tempo le mie skill abbastanza aggiornate, non per cercare nuove posizioni lavorative, ma per qualificare meglio il mio profilo professionale.
Ti abbiamo ascoltato al Codemotion 2023 parlare di Tech Communities. Ti va di raccontarci come è cominciata la tua esperienza di Community Manager?
Sono organizzatore di una community che si chiama PLUG, che sta per Pignola Linux Users Group. È un LUG nato 10 anni fa. Non faccio parte del gruppo dei fondatori, essendo entrato a far parte del gruppo non più di 4 anni fa. È una associazione no profit e mi piace specificarlo perché tutto quello che facciamo in ambito associativo lo facciamo con il solo scopo di organizzare attività sul territorio, cercando di far crescere le competenze degli associati e delle persone intorno a cui andiamo a creare eventi o attività formative.
L’associazione organizza eventi tecnici, come tech conference, meet-up e quant’altro, ma in realtà noi organizziamo tante altre attività volte alla diffusione di conoscenze tecniche, come ad esempio la sensibilizzazione sui temi della cyber security per gli adolescenti e diverse attività formative per persone anziane. Insomma, cerchiamo di far circolare le nostre competenze a favore della comunità più estesa. Nell’ultimo triennio abbiamo cercato di allargare un po’ la base e per fare questo abbiamo dato il via al ComeToCode.
Creare e gestire una community presenta delle sfide che vanno al di là delle competenze tecniche. Quali sono le soft skills necessarie per gestire una comunità di persone?
Nella mia vita professionale e personale ho partecipato e partecipo ancora a diversi tipi di associazioni. Faccio parte, ad esempio, di un’associazione che si occupa di organizzare concerti blues. Queste esperienze mi hanno insegnato che nelle community il valore delle relazioni è fondamentale. A prescindere dallo scopo specifico dell’associazione, mantenere buoni rapporti con le persone e rapportarsi sempre con genuinità e trasparenza è vitale nella gestione di una community. I membri di una community tech sono accomunati da una passione, ma rimangono persone. La caratteristica dell’associazione a cui tengo particolarmente, la mancanza del fine di lucro, aiuta molto sotto questo aspetto perché rende chiaro che tutto quello che facciamo, lo facciamo per il bene dell’associazione e per portare qualcosa al territorio e alle community tech.
Di quali dinamiche individuali e sociali occorre essere consapevoli per tenere insieme queste persone?
Non si può sicuramente prescindere dalle logiche che caratterizzano il territorio, ma questo non deve costituire neanche un limite. Con il nostro esperimento abbiamo provato che, creando eventi o attività di qualità, soprattutto se prive di una finalità di business o di tornaconto personale, le persone ti supportano. Certo, ci vuole un po’ di tempo per superare eventuali resistenze che provengono dal territorio e dalle aziende che vi operano, ma lavorando senza secondi fini e senza favorire nessuno, alla fine riesci a creare un clima di fiducia.
E poi è necessario puntare sulle persone, farle sentire a proprio agio, creare un ambiente accogliente e dare a tutti la possibilità di mettersi in gioco.
Come fare in modo che la community duri nel tempo?
Le associazioni in quanto tali soffrono di due limiti. Il primo è il fattore tempo, il secondo è la gratuità.
Non è sempre scontato per gli organizzatori riuscire a trovare del tempo da mettere a disposizione della community, mentre la gratuità, che è una leva importante all’inizio, nel tempo può influire negativamente sulle motivazioni iniziali dei membri.
Per questo è importante avere un buon turnover. Nelle community, e in particolare nelle community tecnologiche, bisogna essere capaci di creare circolarità tra le persone che organizzano e gestiscono le attività. A volte ci può essere un legame molto stretto tra i fondatori (o il fondatore) e la durata dell’iniziativa e questo lega le sorti della community alla disponibilità e alle motivazioni di una o poche persone.
Ma nel momento in cui si riesce a dare continuità alle attività della community e agli eventi che questa organizza con un buon turnover, anche le persone che non hanno una responsabilità diretta alla fine la sentono loro e diventa più facile farla vivere nel tempo. Il fattore tempo è determinante per legare le persone all’evento perché si crea un legame tra i membri della community e la community stessa.
Come far crescere una tech community?
Sulla crescita delle dimensioni, mi pongo una domanda: una community deve crescere per forza? Personalmente, io non sono d’accordo sulla crescita, non sulla crescita della qualità o dell’offerta formativa, ma sulla crescita numerica. Credo che l’evento che abbiamo creato a Pignola rappresenti una bella esperienza anche perché è caratterizzata da relazioni più strette e personali. Non ha la struttura di una conferenza classica. Ma perché dovremmo crescere? Per attrarre più persone quando non saremmo in grado di offrire lo stesso trattamento e la stessa esperienza di quanto sia possibile in un piccolo evento? Per un’associazione no profit, crescere ha davvero senso? Io credo di no. Forse la mission di un’associazione in questo ambito è quella di replicare l’esperienza nel tempo, cioè essere veicolo per altre realtà nel creare contenitori simili senza trattenere la proprietà intellettuale o pretendere di avere l’esclusiva su quello che si è creato. Lo scopo dovrebbe essere quello di essere di esempio per altre piccole realtà che vogliono creare una conferenza o una community con le stesse modalità.
E a proposito delle competenze?
Lo scopo di una tech community è quello di diffondere conoscenza dove non è così facile ottenerla. Adesso ci troviamo in una situazione di overdose formativa, in termini di eventi, corsi online, webinar, ecc. L’elemento formativo è sicuramente importante, ma la conoscenza è qualcosa di più complesso e completo della semplice acquisizione di nozioni. Se la formazione consiste nell’accedere a frammenti di conoscenza, vi si può accedere in qualsiasi momento. Ma qual è la differenza tra apprendere in modalità e-learning, da soli davanti a un computer, e partecipare ai lavori di una conferenza? La differenza è nel contatto tra le persone. La vera conoscenza avviene per induzione, per contatto. Non c’è soltanto qualcuno che insegna e qualcun altro che apprende. C’è qualcosa di più osmotico, complesso e articolato: la condivisione delle esperienze. È la scoperta di quello che c’è dietro la tecnologia. E questo è possibile solo quando lo speaker lo incontri, ci parli, gli poni una domanda. Ma non una domanda del tipo “come faccio una funzione di calcolo randomico”. La conferenza è l’occasione per avviare discussioni, tipo “questa cosa tu come l’hai fatta?”, oppure “io mi trovo in questa condizione e sto provando a fare così. Secondo te è corretto?”.
Una community è un luogo di incontro di persone tra cui si creano scambi che vanno oltre il semplice trasferimento di informazioni: sono scambi di esperienze.
Come si collocano le aziende nella vita di una tech community?
Le aziende per costituzione sono orientate al business. Le community nascono dalla passione. Mentre l’azienda sfrutta la conoscenza per un fine economico o di posizionamento sul mercato, la community nasce per la passione delle persone. L’azienda può entrare nella community in diversi modi. Se l’azienda ha una visione centrata sullo sviluppo della competenza e della valorizzazione delle persone all’interno della propria organizzazione, è probabile che faciliti l’adesione dei propri dipendenti alle tech community. E questo avviene non solo per avere un vantaggio in termini di crescita delle competenze, ma anche perché sa che all’interno della community il proprio dipendente può riuscire ad esprimersi e a trovarsi immerso in un mondo che per lui è passione.
Quando l’azienda riesce a creare sinergia tra il lavoro e la passione dei propri dipendenti, e la supporta mandandoli ad una conferenza, facendo da sponsor ad un evento, oppure offrendo un’aula per organizzare un meet-up, vuol dire è sensibile alla passione per la tecnologia e che cerca di mantenerla viva nei dipendenti.
Purtroppo spesso le aziende sfruttano la tecnologia solo per fini economici, senza comprendere la dinamica che esiste tra passione e lavoro. In questo modo rompono qualcosa nel rapporto con il dipendente, che può andar via più velocemente del previsto, oppure rimanendo con dei programmatori poco motivati o poco aggiornati.
Raccontaci del ComeToCode. Com’è nato, quali sono le sfide e cosa ti porti a casa come professionista e membro della community?
Il ComeToCode nasce come iniziativa dell’associazione culturale PLUG. Un giorno, io e qualche amico dell’associazione ci siamo ritrovati quasi per scherzo a chiederci se fossimo stati in grado di organizzare un evento tech al Sud invece di continuare a fare i pendolari della formazione. Così, quasi per gioco, abbiamo lanciato il sasso nello stagno. La prima persona che contattammo fu uno dei massimi sviluppatori che conoscevamo all’epoca, Francesco Sciuti. Lo contattammo senza sapere dove saremmo andati a finire, e finì che Francesco ci rispose con entusiasmo e ci offrì la sua disponibilità all’organizzazione dell’evento.
La risposta di Francesco ci diede la consapevolezza che l’organizzazione di un evento tech era possibile anche in una piccola realtà come la nostra e ci diede quell’iniezione di fiducia ed entusiasmo che forse da soli non saremmo riusciti a trovare. Cominciammo a cercare altri top developer italiani, e avemmo un riscontro che in realtà non ci aspettavamo. In tanti aderirono con entusiasmo alla nostra iniziativa perché compresero la natura associativa dell’evento.
Anche se molti speaker venivano dal Nord Italia, il ComeToCode era visto come una scintilla in un contesto in cui può sembrare difficile creare qualcosa di questo tipo. E questo fece aderire molti speaker. Già alla prima edizione tirammo su una line-up di tutto rispetto. Di lì è stato un crescendo di edizione in edizione.
Abbiamo deciso di non emulare le grandi conferenze, ma di dare al ComeToCode la connotazione di una piccola community di provincia, trasmettendo un senso di calore e attenzione verso speaker e partecipanti che è stata molto apprezzata da subito.
La nostra sfida ora è quella di mantenere questo impegno e questo entusiasmo per qualche altro anno.
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